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Danno al carico durante il viaggio: chi è il responsabile?

Briefing
15 February 2019
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Richard Mabane spiega ed analizza questa sentenza della Suprema Corte inglese dello scorso dicembre che è sicuramente di interesse per vettori e proprietari del carico.

È direttamente pertinente anche all’ambito del trasporto di carichi che, per via delle loro particolari caratteristiche, richiedono misure speciali per la loro protezione durante la fase di trasporto – ad esempio, carichi come zucchero e chicchi di caffè verde trasportati in container che, essendo igroscopici, necessitano di materiale assorbente all’interno dei container, del tipo carta Kraft.

Il Nuovo Orientamento in Tema di Onere della Prova

La Suprema Corte ha stabilito che, qualora si verifichi un danno al carico durante un viaggio, ove trovino applicazione le regole dell’Aja (le “Regole”) o dell’Aja Visby ed il carico sia stato spedito in buono stato, il punto di partenza è che il vettore sia responsabile per il danno. Starà poi al vettore confutare questa presunzione; laddove egli cerchi di fare affidamento a propria difesa sull’eccezione di vizio occulto, dovrà dimostrare di aver adottato tutte le misure opportune al fine di proteggere il carico, e che sia stato il vizio occulto a causare il danno.

I Fatti

Chicchi di caffè verde venivano trasportati dalla Colombia al Nord Europa in container non ventilati, come specificato dai proprietari del carico. Le polizze di carico, disciplinate dalla legge inglese ed incorporanti le Regole, erano su termini LCL/FCL (less than container load / full container load), rendendo il vettore contrattualmente responsabile per la preparazione dei container ed il caricamento dei sacchi di caffè al loro interno.

I chicchi di caffè, come lo zucchero, sono un carico igroscopico: perdono e assorbono umidità in maniera naturale in base alle condizioni dell’ambiente. I chicchi di caffè sono solitamente trasportati in container ventilati o non ventilati. Se trasportati in container non ventilati da climi più caldi a climi più freddi, è probabile che i chicchi di caffè rilascino umidità che si condensa contro il tetto e le pareti dei container. I danni da umidità al carico possano essere evitati rivestendo i container con un materiale assorbente.

In questo caso, nonostante i container fossero stati rivestiti di una carta assorbente, cosiddetta carta Kraft (anche se le prove non hanno stabilito quale fosse il peso o quanti strati di carta fossero stati usati), una parte dei chicchi di caffè aveva subito un danno da condensa. I proprietari del carico sostenevano che il vettore avesse violato il suo obbligo, ai sensi dell’articolo III comma 2 delle Regole, di caricare, rimaneggiare, stivare, trasportare, conservare, curare e scaricare le merci trasportate appropriatamente e accuratamente. Essi asserivano una negligenza, da parte del vettore, per non aver utilizzato adeguata o sufficiente carta Kraft per rivestire i container. Il vettore sostenne di aver adempiuto ai suoi obblighi ai sensi dell’articolo III comma 2 delle Regole, rivestendo i container, e che fosse dunque legittimato a ricorrere all’eccezione del vizio occulto ai sensi dell’articolo IV comma 2(m), poiché i chicchi di caffè non potevano far fronte agli ordinari incidenti del viaggio in termini di livelli di condensa formatasi in tale circostanza.

La risposta dei proprietari del carico fu che una caratteristica intrinseca del carico avrebbe potuto causare un danno solo a causa della negligenza del vettore.

Le Decisioni in Primo Grado e della Corte d’Appello

La Commercial Court in primo grado ritenne che vi fosse una presunzione iuris tantum secondo cui i danni subiti durante il trasporto fossero stati causati dalla negligenza del vettore e che spettasse al vettore provare diversamente. I chicchi di caffè furono regolarmente trasportati in container da climi più caldi a climi meno caldi senza che si fossero verificati danni e, in questo caso, il vettore non fu in grado di dimostrare di aver posto in essere tutti i passaggi adeguati al fine di prendersi cura del carico. Il vettore non si era potuto avvalere dell’eccezione del vizio occulto poiché non poteva provare che quest’ultimo avesse causato il danno (fornendo la prova che le misure prese per rivestire i container fossero state sufficienti per evitare il danno).

La Corte d’Appello ha capovolto la decisione, sostenendo che il vettore avrebbe potuto avvalersi della presunzione di vizio occulto ‘prima facie’, provando che l’umidità che avrebbe causato il danno fosse scaturita dai chicchi di caffè stessi. Questo avrebbe pertanto trasferito l’onere della prova sui proprietari del carico che avrebbero dovuto dimostrare che il danno non fosse stato causato da un vizio occulto, bensì dalla negligenza del vettore.

La Decisione della Corte Suprema Inglese

La Corte Suprema ha a sua volta rovesciato la decisione della Corte d’Appello, sostenendo che, laddove un carico venga spedito in buone condizioni e si verifichi un danno durante il trasporto, un vettore che cerchi di fare affidamento sull’eccezione di vizio occulto ha l’onere di provare che la causa effettiva del danno sia stata il vizio occulto e non la propria negligenza.

“Il mero fatto che i chicchi di caffè siano igroscopici e rilascino umidità nel momento in cui la temperatura dell’ambiente scenda può costituire un vizio occulto se gli effetti non possono essere contrastati da congrua attenzione nella prestazione del servizio di cui al contratto, ma non laddove gli effetti stessi possano e debbono essere contrastati”.

Il fatto che possano essere prese misure adeguate al fine di proteggere il caffè dal danno che potrebbe scaturire dalle proprie caratteristiche igroscopiche intrinseche (vale a dire, la tendenza a rilasciare umidità) dimostra che dette caratteristiche intrinseche non diano sempre origine ad un carico danneggiato.

Pertanto, le misure prese debbono essere state insufficienti in questa circostanza.

Commento

Sussiste una logica nella decisione della Corte Suprema, fondata sulla common law inglese nel campo del “bailment”, dove una parte (il “bailor” – depositante) trasferisca il possesso di un bene o di beni ad un terzo (il “bailee” – depositario) per il loro trasporto o custodia. Ai sensi della legge del bailment, il “bailee” deve motivare, e provare, che qualsiasi danno occorso ai beni durante la sua custodia non sia il risultato di una sua colpa.

Un contratto di trasporto ai sensi di una polizza di carico è un contratto di bailment, ed il vettore, nel contesto, è chiaramente un “bailee”. La Corte Suprema ha ritenuto che l’onere della prova in capo al bailee di spiegare e giustificare il suo operato non sia escluso dalle Regole dell’Aja: come ogni altro bailee, un vettore è pertanto responsabile per i danni alle merci in suo possesso a meno che non possa provare che il danno non sia stato causato da alcuna violazione dello standard di cura richiesto, o a meno che non possa avvalersi di una eccezione contrattuale (ad esempio, una clausola di esclusione come l’articolo IV regola 2).

Nella sua sentenza, la Corte Suprema ha respinto la tesi del vettore secondo cui gli obblighi relativi alla cura del carico ai sensi delle Regole dell’Aja non siano coerenti con l’applicazione concomitante dei principi di common law relativi al bailment, ritenendo che invece le Regole “non siano esaustive di tutte le questioni relative alla responsabilità legale dei vettori per il carico”. Laddove le Regole siano silenti, la common law inglese continuerà a trovare applicazione.

Con riguardo alla questione dell’onere della prova, la Corte Suprema ha rifiutato di seguire il vecchio caso del 1894 – The Glendarroch – dove la Corte d’Appello ha ritenuto che, laddove il ricorrente per il carico sostenga che il vettore non possa fare affidamento sulla difesa contemplante i “pericoli del mare” a causa della sua negligenza, l’onere della prova della negligenza stessa sarebbe ricaduto sul ricorrente per il carico.

Nella sentenza della Corte Suprema, Lord Sumption ha descritto la decisione del Glendarroch come “tecnica, confusa, immateriale allo scopo commerciale dell’eccezione e fuori luogo nel contesto delle Regole dell’Aja”, trovando che non vi sia alcun principio generale secondo il quale l’onere di provare la negligenza ricada sul ricorrente per il carico. Al contrario, se il vettore cerchi di fare affidamento su una delle difese esposte nell’Articolo IV regola 2, egli dovrà provare che l’effettiva causa della perdita o del danno sia il pericolo costituente eccezione, e non la propria negligenza o violazione dell’Articolo III regola 2.

La sentenza della Corte Suprema fornisce altresì indicazioni utili circa il significato di “inherent vice”, (vizio occulto) che ha definito come inidoneità dei beni a far fronte agli ordinari incidenti del viaggio, dato il grado di diligenza che l’armatore deve contrattualmente esercitare sulla merce. Per instaurare una difesa, pertanto, il vettore dovrà dimostrare di avere adempiuto al proprio dovere di diligenza contrattuale o che qualsiasi omissione a tale dovere non abbia causato il danno.

In questo caso, dal momento che nessuna delle due circostanze era stata provata, il vettore non ha potuto fare affidamento sulla eccezione del vizio occulto.

Alla luce della sentenza, adesso più che mai il ricorrente per il carico sarà in grado di portare avanti un’azione legale prima facie basata semplicemente sull’esistenza del danno al carico in costanza di discarica, passando pertanto al vettore l’onere di confutare la negligenza.

Ciò potrebbe servire, ad esempio, ai fini del deposito di istanze anticipate – per il sequestro della nave, o la sua ispezione, per una divulgazione anticipata e così via – così come la memoria iniziale del ricorrente per il carico, in risposta alla quale il vettore vorrà adesso esporre, nelle proprie memorie di difesa, una chiara e precisa narrativa su come le merci siano state correttamente trasportate, su come se ne sia diligentemente preso cura e su come il danno sia stato dovuto ad una delle cause che escludono la sua responsabilità.

La sentenza tratta un caso di trasporto di carico in contenitori ma è di potenziale applicazione al trasporto di vari tipi di merci, anche alla rinfusa.

Ove si tratti di trasporto di un carico igroscopico, come zucchero o chicchi di caffè verde, in container, sarebbe utile definire nel contratto di trasporto cosa precisamente sia richiesto per proteggere il carico da eventuali danni – ad esempio, che i container debbano essere rivestiti al fine di assorbire umidità.

Se si desidera ricevere una copia integrale della sentenza della Corte Suprema, si prega di richiederla all’autore al seguente indirizzo:

Richard Mabane
Partner, London
T +44 (0)20 7264 8505
richard.mabane@hfw.com

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