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Bollettino Marittimo – Edizione Speciale
Il caso ATLANTIK CONFIDENCE: gli Assicuratori del Carico “rompono i limiti” in una recente sentenza finora senza precedenti, Novembre 2016

A seguito dell’incendio e dell’affondamento della portarinfuse ATLANTIK CONFIDENCE, occorso a largo della costa dell’Oman nell’aprile 2013, gli armatori della nave cercarono di costituire un fondo di limitazione ai sensi della Convention on Limitation of Liability for Maritime Claims 1976 (e successive modifiche) – di seguito, “la Convenzione” – presso l’Admiralty Court ed ottenere una dichiarazione che li avrebbe legittimati a limitare la propria responsabilità, secondo quanto previsto dalla Convenzione, a causa dell’entità dei potenziali reclami avanzati nei confronti degli armatori.

Gli Assicuratori del Carico cercarono di “rompere i limiti” previsti dalla Convenzione, difendendo la loro domanda sulla base del fatto che la perdita della nave, insieme al suo carico, era stata causata da “un’azione o omissione personale” degli armatori. Secondo la loro tesi, si applicava l’eccezione contenuta nell’articolo 4 della Convenzione. Gli Assicuratori argomentarono che l’unica spiegazione credibile dell’affondamento della nave, compatibile con le prove, era che la stessa era stata volutamente affondata dal suo equipaggio sotto la direzione degli armatori. Altresì sostennero che la spiegazione “ingenua” dell’affondamento della nave, portata avanti dagli armatori, prevedeva una serie di improbabili casi fortuiti che se riconsiderati nel contesto delle altre prove, come il cambiamento di rotta della nave verso acque più profonde, il comportamento del Comandante e del Direttore di Macchina, la reazione all’incendio e la situazione di difficoltà finanziaria del Presidente degli armatori, lasciavano intendere che l’unica conclusione credibile poteva essere che la perdita era stata causata da un atto intenzionale.

La normativa

L’articolo 4 della Convenzione prevede che:

“Il soggetto responsabile non sarà legittimato a limitare la propria responsabilità se vi è la prova che perdita sia conseguenza di una sua azione o omissione personale, commessa con l’intento di causare tale perdita, o temerariamente e con la consapevolezza che la perdita si sarebbe probabilmente verificata”.

Questa previsione costituisce l’unico criterio in base al quale i limiti concessi dalla Convenzione non si applicano.

L’onere della prova

Nel caso di specie, era pacifico che gli Assicuratori del Carico dovessero fornire la prova del fondamento della loro domanda in base al principio della probabilità e che, nello stabilire se gli Assicuratori del Carico avessero assolto quell’onere, l’approccio della Corte doveva essere lo stesso previsto per il caso in cui i proprietari della nave facciano un reclamo sulla base di polizza corpi e l’assicuratore asserisca che la nave sia stata affondata di proposito.

A tal riguardo, il Giudice Teare ha richiamato la decisione nel caso Brownsville Holdings Ltd v Adamjee Insurance Co. (The Milasan) [2000] 2 Lloyd’s Reports 458, in cui il Giudice Aikens chiarì che l’aver affondato di proposito una nave costituisce un’accusa grave e lo standard probatorio non può essere inferiore a quello previsto nei procedimenti penali e poiché, per la natura stessa di questi casi, solitamente non è possibile, per gli assicuratori, acquisire prove dirette, la Corte potrà tener conto di tutte le prove indirette e indiziarie che sono pertinenti. Altresì gli Assicuratori non dovranno fornire la prova del movente se i fatti risultano inequivocabili. Il Giudice altresì tenne in considerazione la possibilità, laddove la prova sia limitata, di non essere in grado di giungere ad una conclusione sulla causa della perdita citando il caso POPI M [1985] 2 Lloyds Law Reports 1.

Per concludere sulla questione relativa all’onere della prova, il Giudice Teare ha sostenuto che:

“Il tribunale sarà in grado di trarre una conclusione solo allorquando il caso sia deciso in base al principio delle probabilità. I proprietari della nave generalmente non fanno ricorso all’affondamento di proposito e asserire che un proprietario della nave l’abbia fatto è una grave accusa da fare........ Nel caso Strive Shipping v Hellenic Mutual War Risks Association (the GRECIA EXPRESS) [2002] 2 Lloyd’s Rep. 88 a pagg. 97-99 il Giudice Colman J. ha concluso che deve essere “altamente improbabile” che la perdita della nave fosse accidentale e che deve trarsi dall’insieme delle prove “un alto livello di sicurezza che quanto asserito sia vero”. Come sostenuto da Aikens J. nel caso The Milasan, le prove contro l’armatore devono essere “sufficientemente inequivocabili” per stabilire che l’armatore sia stato complice del naufragio della sua nave”.

I fatti

Tra il febbraio e marzo 2013, la ATLANTIK CONFIDENCE (di seguito, la “nave”) caricò vari project cargos a Oktyabrsk (in Ucraina), Odessa (in Ucraina) e Gemlik (in Turchia) per lo scarico in vari porti in Oman, negli Emirati Arabi Uniti, in Arabia Saudita e Pakistan. Una volta completate le operazioni di caricazione, la nave proseguì verso il Golfo di Aden passando per il Canale di Suez.

Poco prima dell’alba del 30 marzo 2013, scoppiò un incendio nella sala macchine della nave, sul lato a dritta del secondo ponte, nei pressi dei generatori e del magazzino. Al momento, la nave era a 138NM a largo dell’isola di Masira. Meno di tre ore dopo, il Comandante prese la decisione di abbandonare la nave. Per quattro ore, l’equipaggio rimase sulle scialuppe di salvataggio nei pressi della nave. Durante quelle ore il Comandante ed il Direttore di Macchina ritornarono sulla nave due volte. Vennero poi prelevati da una nave di passaggio ed infine rimpatriati in Turchia. A quel punto, era chiaro che l’incendio si era spento da un po’ di tempo.

Le condizioni meteorologiche erano relativamente calme e la nave rimase nelle vicinanze per un po’ di tempo. La stessa acquisì uno sbandamento a sinistra ed un appoppamento che aumentava gradualmente fin quando, alle prime ore del mattino del 3 aprile, la nave si inabissò.

A seguito dell’affondamento, gli armatori della nave cercarono di costituire un fondo di limitazione ai sensi della Convenzione, dopodiché agirono per ottenere una dichiarazione in base alla quale gli armatori sarebbero stati legittimati a limitare la loro responsabilità. Gli Assicuratori del Carico si opposero alla domanda avanzata dagli armatori. Essi sostenevano che la nave fosse stata intenzionalmente affondata dall’equipaggio su istruzione degli armatori.

La difesa degli armatori

Gli armatori sostennero che la perdita della nave era accidentale. Essi si difesero sostenendo che l’incendio era stato accidentale ed aveva causato l’ingresso di acqua nella sala macchine e nella cassa zavorra. La loro difesa si basava su fatto che c’era stata una perdita di olio combustibile nel generatore n. 2 che spruzzava dal generatore al generatore piatto al magazzino e poi cambiava direzione tornando a sinistra della nave per infiammarsi sull’involucro di un turbocompressore bollente che doveva essere rivestito di materiale isolante. Il Giudice ha dichiarato che “l’aggregazione di tali improbabili eventi unitamente alla mancanza di un riscontro, nei rilievi svolti dagli ingegneri, a favore dell’incendio sul secondo generatore, suggerisce che la possibilità che la causa dell’incendio nel magazzino sia stato l’incendio del secondo generatore, dovuto ad una perdita di olio combustibile, sia non più che una remota possibilità”.

Si disse poi che l’incendio si era sviluppato sostanzialmente nel magazzino, al punto da causare una crepa nel fasciame esterno della nave, al di sotto della linea di galleggiamento o nelle vicinanze del magazzino che avrebbe consentito l’ingresso dell’acqua nel magazzino. Allo stesso tempo, l’incendio causò “il contatto dei fili” del sistema di zavorra della nave in un modo tale che si azionò automaticamente per aprire alcune valvole della zavorra, ma non altre. Affinché la teoria del contatto dei fili fosse corretta, il Giudice disse che, “numerose condizioni dovevano essere soddisfatte e numerosi eventi dovevano verificarsi”.

In ultimo, l’allagamento della sala macchine e della cassa zavorra non avrebbe affondato la nave. I periti erano concordi nel ritenere che sarebbe stato necessario l’allagamento di un altro compartimento. Di conseguenza, gli armatori sostennero che c’era stata la corrosione o il danneggiamento, non correlato con quanto sopra, del tubo sonda e/o del tubo della zavorra tra la parte superiore e la parte inferiore dei serbatoi nella stiva n. 5

La difesa degli Assicuratori del Carico

Gli Assicuratori del Carico sostennero che il Comandante ed il Direttore di Macchina, su istruzioni del Presidente, avessero intenzionalmente aperto le casse di acqua di mare nella sala motori e le valvole del sistema di zavorramento per consentire l’ingresso d’acqua sulla nave. Secondo la difesa degli Assicuratori del Carico, l’incendio era intenzionalmente partito dal magazzino per opera del Direttore di Macchina o del Comandante per distogliere l’attenzione dal fatto che l’acqua fosse stata fatta entrare di proposito. La difesa degli Assicuratori del Carico era che la sequenza dei fatti così come ricostruita dagli armatori era del tutto inverosimile e non poteva essere il motivo per cui la nave era affondata.

Gli Assicuratori del Carico cercarono di basarsi anche su altri indizi che, come loro dicevano, indicavano che la nave era stata affondata volontariamente. Queste prove furono definite dal Giudice “elementi capaci di alimentare i sospetti” che “considerati singolarmente non potrebbero avvalorare la conclusione di una perdita intenzionale, ma considerati unitariamente suggeriscono una perdita intenzionale”.

1. Il cambiamento di rotta

Pochi giorni prima dell’incendio, la nave aveva cambiato la sua rotta per allontanarsi ulteriormente dalla costa dell’Oman e andare a largo dell’Oceano indiano. La nuova rotta rese la nave difficilmente raggiungibile da soccorsi e la condusse in acque più profonde. Gli armatori non furono in grado di dare una spiegazione ragionevole per questo cambiamento della rotta, nonostante i tentativi di sostenere che lo stesso fosse opportuno a causa del rischio pirateria.

2. La HEATHER

Gli armatori mandarono un’altra nave della loro flotta per assistere la nave, una volta che l’equipaggio l’aveva abbandonata. La HEATHER venne fatta deviare dai suoi incarichi per prelevare due sovrintendenti dall’ufficio degli armatori in Turchia che si sarebbero incontrati con la nave in Oman prima di navigare verso la nave. Cosa essenziale, la HEATHER faceva scalo a Muscat nello stesso momento in cui i salvatori nominati si stavano mobilizzando eppure non fornì loro alcuna assistenza né li informò della loro presenza. La HEATHER arrivò molto prima dei salvatori. Mentre è stato provato che i sovrintendenti volevano salire a bordo“nessuno, quando è stato contro-interrogato, è stato in grado di indicare cosa di preciso intendessero fare”.

3. La condotta del Comandante e del Direttore di macchina

Le risposte del Comandante e del Direttore di Macchina all’indomani dell’incendio destarono sospetti. Il Direttore di Macchina impedì agli altri membri dell’equipaggio di entrare nella sala macchine per domare l’incendio. Non ci furono indagini sulla causa dello sbandamento della nave. Nessun messaggio di pericolo venne inviato se non quasi due ore dopo che l’incendio era scoppiato, appena prima che la nave venisse abbandonata. Il Comandante non informò l’ufficio della decisione di abbandonare la nave. Il Comandante ed il Direttore di Macchina ritornarono sulla nave due volte, e nessuna di queste volte la carta nautica in funzione venne prelevata. Il Comandante non ha mai prodotto alcuna relazione scritta del sinistro.

4. Le difficoltà finanziarie del Presidente

La nave era parte di una più ampia flotta di navi, ognuna delle quali era stata sovrassicurata in maniera significativa, ivi inclusa la nave in questione. Fu dimostrato che tutte le società del gruppo erano insolventi a termini di bilancio e non avevano prospettive di intrattenere rapporti commerciali per trovare una via d’uscita dai loro debiti.

Si trovavano in una “reale condizione di difficoltà finanziaria” ed era probabile che “la banca stesse facendo pressioni sul presidente”. L’affondamento della nave significava che i prestiti dei mutui bancari relativi non solo alla nave ma anche alle altre quattro navi della flotta si sarebbero sostanzialmente ridotti.

La sentenza

Con una sentenza molto dettagliata e anche ben ponderata che ha fatto seguito alle numerose prove acquisite tramite perizie e alle argomentazioni esposte da ambo le parti durante l’udienza di sei settimane, il Giudice Teare ha convenuto con gli Assicuratori del Carico ed ha concluso che l’affondamento era stato cagionato intenzionalmente:

“Avendo considerato l’insieme delle prove raccolte per questo caso e le diverse argomentazioni esposte dalle parti, ho ritenuto che il Direttore di Macchina, con la conoscenza e l’accordo del Comandante, avesse appiccato un incendio nel magazzino e intenzionalmente causato l’affondamento del ATLANTIK CONFIDENCE. Loro hanno negato queste accuse ma io non posso ammettere le loro prove. Dette prove, se sono considerate nel loro insieme nel contesto del caso, non posso ritenersi veritiere”.

Altresì egli ha scoperto che l’azione fu intrapresa su istruzione del Presidente:

“La nave fu intenzionalmente affondata dal Comandante e dal Direttore di Macchina su richiesta del sig. Agaoglu, l’alter ego degli armatori. In tali circostanze, la perdita del carico fu la conseguenza di un’azione personale intrapresa con l’intento di cagionare tale perdita. La perdita del carico era la conseguenza ragionevole e naturale della sua azione e, pertanto, il sig. Agaoglu deve essere perseguito per aver cagionato l’evento intenzionalmente. Ne consegue che la domanda degli armatori volta ad ottenere un decreto di limitazione deve essere rigettata”.

Il Giudice ha ritenuto che “sebbene un evento improbabile possa verificarsi, è difficile ammettere che tre eventi improbabili (quali un incendio accidentale, un accidentale allagamento della sala macchine causato dall’incendio ed un accidentale allagamento di due cisterne a doppio fondo sulla parte sinistra, causato dall’incendio) possano verificarsi in rapida successione gli uni agli altri”.

Di conseguenza, la domanda degli armatori volta ad ottenere un decreto di limitazione è stata rigettata. Tuttavia, non è ancora possibile sapere se una delle parti vorrà proporre un appello.

Il commento

Questa è stata una controversia eccezionalmente tecnica e dettagliata con molti elementi di prove tecniche e di fatto che il Giudice ha dovuto considerare. Per quanto di nostra conoscenza, questa è stata l’unica volta in 40 anni in cui nel Regno Unito i limiti previsti dalla Convenzione sono stati infranti con successo. Dal nostro punto di vista, questa decisione è scaturita da elementi fattuali particolari. Pertanto, non crediamo che possa cambiare l’interpretazione o l’applicazione dell’Articolo 4 o abbassare in qualche modo la soglia per la violazione dei limiti. Non dovrebbe spalancare le porte alle parti che cercano di violare i limiti, poiché i fatti di questo caso, così come riscontrati dalla Corte, sono fortunatamente molto inusuali. A nostro avviso, tutto quello che questo caso dimostra è che in un scenario fattuale corretto, la Admiralty Court sarà disposta a prendere una decisione “per rompere i limiti”. Non riteniamo tuttavia che questa sentenza apra nuove prospettive per quanto riguarda il testo normativo o l’onere della prova.

Per qualsiasi ulteriore informazione, non esitate a contattare Richard Mabane all’indirizzo di posta elettronica richard.mabane@hfw.com o al numero di telefono fisso +44 (0) 20 7264 8505 o cellulare +44 (0)7881 827952.

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